Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età
è bello occuparsi del benessere dell'anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di
dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è
ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Da giovani come da vecchi è giusto
che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti
con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa,
per prepararci a non temere l'avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità,
perché quando essa c'è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla.
Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui
non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così
non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il
vecchio a ben morire è stolto non solo per la dolcezza che c'è sempre nella vita, anche da vecchi,
ma perché una sola è l'arte del ben vivere e del ben morire. Ancora peggio chi va dicendo: bello
non essere mai nato, ma, nato, al più presto varcare la porta dell' Ade.
Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro.
Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente s'avveri, né allo stesso modo disperare del
contrario. Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali,
altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i
necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.
Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo
e alla perfetta serenità dell'animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi
indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall'ansia. Una volta
raggiunto questo stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più
bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell'animo e del corpo. Infatti
proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso. Quando invece non
soffriamo non ne abbiamo bisogno.
Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo
riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e
scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore. E' bene primario e naturale per
noi, per questo non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci
più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più
grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua
intima natura, ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male, ma non tutti
sono sempre da fuggire.
Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe
volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Consideriamo
inoltre una gran cosa l'indipendenza dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del
poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo
che l'abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che
veramente serve non è difficile a trovarsi, l'inutile è difficile.
I sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, l'acqua e un pezzo di pane...
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